1.5.08

17.4.08

Non si ferma la diaspora dei cristiani dall'Iraq

Non si ferma la diaspora dei cristiani dall'Iraq

Fonte: Radiovaticana

"Cristiani in Iraq: la Chiesa caldea ieri e oggi": tema di un incontro ieri a Roma, organizzato da Pax Christi, presso la sede della comunità di San Paolo. Tra i partecipanti mons. Philip Najim, procuratore caldeo presso la Santa Sede, che ha messo in risalto le difficoltà che i cristiani sono costretti a vivere quotidianamente in Iraq. ''Prima dell'intervento americano del marzo di cinque anni fa - ha raccontato padre Najim - nessuno osava attaccare le chiese o le moschee, c'era un rispetto reciproco e non ci si chiedeva a quale religione si appartenesse perché si rispettavano le persone in quanto tali''. Oggi, ha constatato il procuratore caldeo, è tutto diverso: ''Io non vedo un Paese liberato dal dittatore - ha detto - ma vedo un Paese fantasma di se stesso, escluso dalla comunità internazionale, privo di ospedali e scuole e dove i cristiani non hanno più speranze per un futuro prospero''. Secondo alcune stime, fino agli anni '90, i cristiani in Iraq erano circa un milione, il 3% dell'intera popolazione, mentre oggi ne sarebbero rimasti meno di 400 mila, dopo un esodo in massa provocato dalla guerra e dalle violenze interconfessionali. ''Una diaspora'' l'ha definita padre Najim che ha aggiunto: ''Oggi siamo addirittura più numerosi fuori che dentro l'Iraq'', precisando che, oltre all'esodo forzato, questa situazione è frutto anche dello spirito missionario che compete da sempre alla tradizione caldea. Infine ha lanciato un appello alla comunità internazionale: ''L'Iraq non ha bisogno di soldi - ha spiegato - perché siamo un Paese ricco di risorse, non abbiamo bisogno di un atto umanitario ma umano'', che riconsegni l'Iraq e ''la dignità agli iracheni." Un antico detto iracheno recita: 'la religione è per Dio ma la Patria è per tutti' e suggerisce l'immagine di un Paese in cui le varie fedi convivono secondo i principi condivisi di tolleranza e rispetto. Una realtà lontana da quella che si presenta oggi: un Iraq, dove le chiese vengono attaccate, i preti rapiti quando non uccisi e dove i cristiani sono vittime di persecuzioni e intimidazioni. Ed è proprio l'Iraq della ''tolleranza e della pace che esisteva fino al 2003'', che rivorrebbe padre Najim.
Alle parole del procuratore caldeo, ha fatto eco mons. Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo latino di Baghdad, dopo che ieri non meno di 70 persone hanno perso la vita e più di 100 sono rimaste ferite in diversi attentati e scontri militari in più parti del Paese, in quella che è stata una delle tre giornate più cruente dall'inizio dell'anno. "Siamo scoraggiati e preoccupati" - ha detto mons. Sleiman all'agenzia Misna - "giornate come quelle di ieri danno il segnale che la guerra è lontana dall'avere una soluzione e che manca una vera strategia complessiva sia militare sia politica; ma anche la società è lontana dal risolvere le sue profonde divisioni interne ".
 

IRAQ - La forza della minoranza. Il ruolo della Chiesa nell'Iraq di oggi (intervista a Renato Sacco di Pax Christi Italia)

 

IRAQ - La forza della minoranza. Il ruolo della Chiesa nell'Iraq di oggi

Fonte: SIR

Di Daniele Rocchi

Uccisi, perseguitati, costretti a fuggire o ad emigrare, con i loro sacerdoti e vescovi rapiti e messi a morte: resta grave la situazione dei cristiani in Iraq. Un mese dopo (13 marzo) il ritrovamento del corpo dell'arcivescovo di Mossul, mons. Paulos Faraj Rahho, non si hanno ancora notizie sulle indagini che dovrebbero assicurare alla giustizia esecutori del delitto ed eventuali mandanti. Nonostante ciò la Chiesa irachena continua la sua missione facendosi sempre più apprezzare dai musulmani, quelli distanti dai terroristi e dai fondamentalisti, per i continui appelli alla riconciliazione e al dialogo. Nel momento della sua massima debolezza la Chiesa sta mostrando una forza nascosta, che la tiene legata disperatamente alla sua terra che abita dalle origini e dalla quale non vuole staccarsi, la forza del dialogo a tutti i costi. Ne abbiamo parlato con don Renato Sacco di Pax Christi Italia, conoscitore dell'Iraq dove è stato meno di due mesi fa per una visita di solidarietà con una delegazione italo-francese del movimento di cui fa parte.
Poco più di un mese fa veniva ritrovato morto mons. Rahho, ma sulla vicenda sembra calato un velo di silenzio. Perché?
"Sulle indagini su mons. Rahho c'è silenzio. Da Mossul giungono voci di una situazione drammatica. Non si sa a che punto siano le indagini, se hanno arrestato qualcuno o se è un modo per calmare la richiesta di verità. Ma questo silenzio sull'assassinio di mons. Rahho riflette anche quello che si registra per l'Iraq. In generale si avverte sul Paese un silenzio strano eppure ci sono oltre 4 milioni e mezzo di profughi iracheni, un numero enorme. Un terzo della popolazione è a rischio di vita per mancanza di acqua, medicinali e cibo, e cosa grave, non vedo un particolare interesse dell'informazione su questi temi. Dobbiamo invece informare e lavorare per la verità, per la giustizia e per non lasciare soli gli iracheni".
Giudica insufficiente l'informazione che si dà sull'Iraq?
"Ci sono grosse tensioni in tutto il Paese e quello che si legge sono solo alcune notizie slegate e frammentate. Si parla di miglioramenti nella sicurezza nel Paese ma non sappiamo se sia veramente così. Non leggo riflessioni o analisi organiche sulla situazione in Iraq che diano un quadro di ciò che accade e che dicano veramente come si vive oggi in questo Paese. La rivolta di Bassora non è stata quella di uno sparuto gruppo di insorgenti ma qualcosa che vede l'Iran coinvolto. Nonostante l'eco della morte di mons. Rahho, vedo silenzio sia dal Governo iracheno che dalla comunità internazionale. Tante cose non trapelano, come per esempio, il recente ritrovamento in un deposito di armi della guerriglia di 20mila pistole di fabbricazione italiana. Chi l'ha vendute? Nessuno parla di disarmo. Io non ho sentito parlare di Iraq nell'ultima campagna elettorale".
Cosa ha lasciato la morte di mons. Rahho e quali conseguenze sta avendo nella vita della Chiesa irachena?
"I giorni del rapimento dell'arcivescovo hanno rivelato l'amicizia e la vicinanza di tanti musulmani che chiedono e cercano il dialogo. Molti leader islamici di Mossul, e non solo, hanno espresso ferma condanna del rapimento. La morte di mons. Rahho ha ampliato lo spazio nel quale costruire una rete di dialogo che parte dal basso e questo processo continua anche se con la fatica e la paura di molti fedeli. Con il dialogo si possono creare i presupposti anche per accordi di natura politica che diano all'Iraq un futuro vero".
Allo stato attuale dei fatti, con quale forza la Chiesa potrebbe intessere questa rete di dialogo e di incontro?
"Con la forza tipica di chi è minoranza. In particolare, la Chiesa in Iraq non è vista come parte politica in causa".
Ci fa capire meglio...
"La Chiesa non ha truppe, non ha armi, non ha milizie; non rappresenta una preoccupazione per un eventuale, futuribile, stato sciita, sunnita o curdo, ed essendo fuori da questa logica di spartizione del potere può giocare un grande ruolo nel costruire ponti e far incontrare chi non riesce a dialogare. La Chiesa non sposa la causa di nessuna fazione perché così facendo perderebbe il suo ruolo di mediazione. Per questo chiede di essere sostenuta a restare in Iraq, per contribuire al futuro del Paese. E adesso avrebbe questa possibilità. A sostenerlo sono molti leader islamici che ho incontrato nel mio recente viaggio: la Chiesa può inventare modi di incontro e di dialogo nuovi. Gli iracheni non ce la fanno più stanno soffrendo da molto tempo, hanno fame di dialogo e di pace".

12.4.08

VICENZA. «CENTODONNECENTOBICI», CICLOVIAGGIO AL FEMMINILE ALLA SCOPERTA DELLA NONVIOLENZA IN SICILIA



VICENZA. «CENTODONNECENTOBICI», CICLOVIAGGIO AL FEMMINILE ALLA SCOPERTA DELLA NONVIOLENZA IN SICILIA

[Alba Cecilia Rossetto - Vania De Preto di Rete Lilliput Vicenza • 04.04.08] Un cicloviaggio al femminile alla scoperta della nonviolenza in Sicilia. Saranno le donne della Rete Lilliput di Vicenza, assieme ad altre amiche della nonviolenza, a trasferirsi nel territorio della Sicilia per percorrere numerosi chilometri con un mezzo a disposizione di tutte e di tutti, la bicicletta, e rispettoso dell'ambiente. La partenza è prevista per domenica 18 maggio 2008.


É all'interno del percorso lillipuziano «Scelgo la nonviolenza», organizzato in collaborazione con M.I.R. - Movimento Internazionale Riconciliazione - che si inserisce la proposta «centodonnecentobici», un cicloviaggio al femminile alla scoperta della nonviolenza in Sicilia. Saranno le donne della Rete Lilliput di Vicenza, assieme ad altre amiche della nonviolenza, a trasferirsi nel territorio della Sicilia per percorrere numerosi chilometri con un mezzo a disposizione di tutte e di tutti – la bicicletta - e rispettoso dell'ambiente.

Il viaggio (600 km complessivi) prevede 12 tappe, ognuna delle quali rappresenta un'importante occasione per tessere una nuova rete di relazioni con le donne che sul territorio propongono esperienze alternative alla militarizzazione ed al sistema delle mafie.

La partenza è prevista per domenica 18 maggio. Nella prima settimana sono previsti incontri con diversi gruppi locali (in particolare Pax Cristi di Catania) che si occupano dei problemi legati alla militarizzazione dell'isola; il viaggio verrà inaugurato con una ciclostaffetta che partirà dalla stazione di Catania e terminerà alla base militare di Sigonella. Le vicentine saranno accompagnate nella pedalata dalle donne di Catania e proprio davanti alla base consegneranno loro la bozza del libro «Vicenza chiama Sigonella», un documento sulla militarizzazione di Vicenza e sull'esperienza che la parte femminile del movimento No Dal Molin sta vivendo in questi mesi di impegno contro il progetto della nuova base militare americana per una cultura di pace e di nonviolenza.

Nella seconda settimana gli incontri saranno dedicati alle donne impegnate sul fronte delle mafie a Palermo, Cinisi, Corleone e molte altre località. In particolare non mancherà l'appuntamento al Centro Impastato di Cinisi, che poco prima del cicloviaggio, precisamente il 9 maggio, organizza una manifestazione contro la mafia per il trentennale dell'omicidio politico-mafioso di Peppino Impastato.

Il viaggio, inteso come occasione di incontri e di scambi di esperienze e riflessioni, comincia subito: il programma di allenamento su bici ed il corso di autoriparazione della bicicletta, fondamentali per il buon esito del viaggio, saranno aperti a tutte le interessate.

Se siete interessate a condividere in qualunque modo l'iniziativa contattateci.

Informazioni:
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