Non si ferma la diaspora dei cristiani dall'Iraq
Fonte: Radiovaticana
"Cristiani in Iraq: la Chiesa caldea ieri e oggi": tema di un incontro ieri a Roma, organizzato da Pax Christi, presso la sede della comunità di San Paolo. Tra i partecipanti mons. Philip Najim, procuratore caldeo presso la Santa Sede, che ha messo in risalto le difficoltà che i cristiani sono costretti a vivere quotidianamente in Iraq. ''Prima dell'intervento americano del marzo di cinque anni fa - ha raccontato padre Najim - nessuno osava attaccare le chiese o le moschee, c'era un rispetto reciproco e non ci si chiedeva a quale religione si appartenesse perché si rispettavano le persone in quanto tali''. Oggi, ha constatato il procuratore caldeo, è tutto diverso: ''Io non vedo un Paese liberato dal dittatore - ha detto - ma vedo un Paese fantasma di se stesso, escluso dalla comunità internazionale, privo di ospedali e scuole e dove i cristiani non hanno più speranze per un futuro prospero''. Secondo alcune stime, fino agli anni '90, i cristiani in Iraq erano circa un milione, il 3% dell'intera popolazione, mentre oggi ne sarebbero rimasti meno di 400 mila, dopo un esodo in massa provocato dalla guerra e dalle violenze interconfessionali. ''Una diaspora'' l'ha definita padre Najim che ha aggiunto: ''Oggi siamo addirittura più numerosi fuori che dentro l'Iraq'', precisando che, oltre all'esodo forzato, questa situazione è frutto anche dello spirito missionario che compete da sempre alla tradizione caldea. Infine ha lanciato un appello alla comunità internazionale: ''L'Iraq non ha bisogno di soldi - ha spiegato - perché siamo un Paese ricco di risorse, non abbiamo bisogno di un atto umanitario ma umano'', che riconsegni l'Iraq e ''la dignità agli iracheni." Un antico detto iracheno recita: 'la religione è per Dio ma la Patria è per tutti' e suggerisce l'immagine di un Paese in cui le varie fedi convivono secondo i principi condivisi di tolleranza e rispetto. Una realtà lontana da quella che si presenta oggi: un Iraq, dove le chiese vengono attaccate, i preti rapiti quando non uccisi e dove i cristiani sono vittime di persecuzioni e intimidazioni. Ed è proprio l'Iraq della ''tolleranza e della pace che esisteva fino al 2003'', che rivorrebbe padre Najim.
"Cristiani in Iraq: la Chiesa caldea ieri e oggi": tema di un incontro ieri a Roma, organizzato da Pax Christi, presso la sede della comunità di San Paolo. Tra i partecipanti mons. Philip Najim, procuratore caldeo presso la Santa Sede, che ha messo in risalto le difficoltà che i cristiani sono costretti a vivere quotidianamente in Iraq. ''Prima dell'intervento americano del marzo di cinque anni fa - ha raccontato padre Najim - nessuno osava attaccare le chiese o le moschee, c'era un rispetto reciproco e non ci si chiedeva a quale religione si appartenesse perché si rispettavano le persone in quanto tali''. Oggi, ha constatato il procuratore caldeo, è tutto diverso: ''Io non vedo un Paese liberato dal dittatore - ha detto - ma vedo un Paese fantasma di se stesso, escluso dalla comunità internazionale, privo di ospedali e scuole e dove i cristiani non hanno più speranze per un futuro prospero''. Secondo alcune stime, fino agli anni '90, i cristiani in Iraq erano circa un milione, il 3% dell'intera popolazione, mentre oggi ne sarebbero rimasti meno di 400 mila, dopo un esodo in massa provocato dalla guerra e dalle violenze interconfessionali. ''Una diaspora'' l'ha definita padre Najim che ha aggiunto: ''Oggi siamo addirittura più numerosi fuori che dentro l'Iraq'', precisando che, oltre all'esodo forzato, questa situazione è frutto anche dello spirito missionario che compete da sempre alla tradizione caldea. Infine ha lanciato un appello alla comunità internazionale: ''L'Iraq non ha bisogno di soldi - ha spiegato - perché siamo un Paese ricco di risorse, non abbiamo bisogno di un atto umanitario ma umano'', che riconsegni l'Iraq e ''la dignità agli iracheni." Un antico detto iracheno recita: 'la religione è per Dio ma la Patria è per tutti' e suggerisce l'immagine di un Paese in cui le varie fedi convivono secondo i principi condivisi di tolleranza e rispetto. Una realtà lontana da quella che si presenta oggi: un Iraq, dove le chiese vengono attaccate, i preti rapiti quando non uccisi e dove i cristiani sono vittime di persecuzioni e intimidazioni. Ed è proprio l'Iraq della ''tolleranza e della pace che esisteva fino al 2003'', che rivorrebbe padre Najim.
Alle parole del procuratore caldeo, ha fatto eco mons. Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo latino di Baghdad, dopo che ieri non meno di 70 persone hanno perso la vita e più di 100 sono rimaste ferite in diversi attentati e scontri militari in più parti del Paese, in quella che è stata una delle tre giornate più cruente dall'inizio dell'anno. "Siamo scoraggiati e preoccupati" - ha detto mons. Sleiman all'agenzia Misna - "giornate come quelle di ieri danno il segnale che la guerra è lontana dall'avere una soluzione e che manca una vera strategia complessiva sia militare sia politica; ma anche la società è lontana dal risolvere le sue profonde divisioni interne ".
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