13.6.05

TIBET:La resistenza pacifica dei monaci

La protesta del Tibet dall'esilio indiano
La "piccola Lhasa"


45 anni fa il Dalai Lama decideva di stabilirsi in un piccolo villaggio dell'India, McLaud Ganj, facendone la sede del governo tibetano in esilio. E oggi la "piccola Lhasa", com'è stato ribattezzato il villaggio, è punto di riferimento per la lotta pacifica contro le violazioni dei diritti umani. Coinvolgendo anche i turisti.
di Elisa Cerrato
da McLaud Ganj

C'è una piazza sola, a McLaud Ganj, un incrocio in pendenza circondato da case e ristorantini pieni di foto in cornice del Dalai Lama, e persino di Pierce Brosnam e Richard Gere ospiti di qualche monastero buddista, infilati in istantanea tra le pagine dei menu.
Qui, in questa frazione di Dharamsala, nell'India ai piedi dell'Himalaya, dove ha sede il governo tibetano in esilio, arrivano vecchi bus e sciami di motorisciò, e si incrociano di continuo monaci buddisti in rosso, donne tibetane in abito tradizionale, turisti da tutto il mondo e qualche indiana che chiede l'elemosina con i suoi bimbi, magari davanti a un cartello che chiede espressamente di non aiutarli, perché sono in corso progetti di microcredito e artigianato cui a volte si rifiutano di partecipare.

Scioperi della fame a catena
Sulla piccola piazza, per due mesi c'è stato anche un tendone, segno della presenza attiva di un popolo che è in India perché in esilio, fuggito da un Tibet cui paradossalmente si riesce a dar voce solo da qui. Sotto il tendone, tappezzato di foto di un monaco occhialuto condannato a morte dal governo cinese, i tibetani di McLaud Ganj si sono alternati in uno sciopero della fame a catena iniziato nel novembre 2004. Lo sciopero è stato organizzato con un sistema di turni di 48 ore, due giorni e due notti all'addiaccio, cui hanno partecipato membri del governo tibetano ed ex ministri, monaci, ragazzini delle scuole, associazioni di commercianti, ong locali, studenti dell'Istituto delle arti tibetane e turisti di passaggio che, firmata la petizione e la cartolina da inviare a Kofi Annan, hanno chiesto qualche informazione in più e si sono fermati anche loro sotto la tenda a distribuire volantini.
Il monaco delle foto è Tenzin Delek, e i poster e i documentari distribuiti dai giovani raccontano la sua storia di "condannato per un crimine mai commesso". Tenzin Delek è stato infatti arrestato e condannato a morte, dopo due anni di reclusione, con l'accusa di incitamento al separatismo e coinvolgimento in alcune esplosioni avvenute lontano dal suo monastero. Suo cugino Lobsang Dondup, monaco anche lui, non ha avuto la stessa "fortuna", ed è stato giustiziato subito dopo il processo, nel gennaio 2003. Secondo il governo tibetano in esilio, il processo non ha seguito alcuno standard di legalità, né internazionale né cinese. Le confessioni sono state ottenute con la tortura, agli imputati non è stato permesso scegliere un proprio avvocato e le autorità cinesi si sono rifiutate di produrre i documenti relativi alle prove, inclusa la cosiddetta confessione di Tenzin Delek.

Il mondo deve sapere
Tenzin Delek aveva subito un primo arresto nel '98, con l'accusa di aver costruito un monastero "senza l'approvazione dello Stato". Nel 2000 le autorità cinesi, preoccupate della sua popolarità, gli avevano ordinato di chiudere la scuola aperta a Lithang, dove bambini tibetani e cinesi studiano insieme. E nel 2002 la condanna a morte, scaduta a inizio dicembre 2004, ma non eseguita.
«Per le autorità cinesi Tenzin Delek era troppo amato e sostenuto da tutti per le sue attività sociali: scuole, orfanotrofi, case per anziani, e anche costruzione di strade - spiega Tsultrim Dorjee, 26 anni, coordinatore del Tibetan youth congress che ha promosso lo sciopero della fame anche a Bangalore, Mumbai, Calcutta e New Delhi - Il suo monastero e le sue scuole sono sempre stati luoghi di educazione alla nonviolenza. Associarlo con la costruzione di bombe è ridicolo, ed è intollerabile che gli sia stato negato il diritto a essere rappresentato da avvocati».
Per Tsultrim, nato in Nepal da genitori tibetani fuggiti dopo una serie di rappresaglie militari, è fondamentale dare risonanza a quanto accade nel suo paese, di cui ha sempre e solo sentito raccontare da voci in esilio: «Qui a McLaud Ganj mi sembra di poter fare di più per la libertà, che non dal Nepal o da New Delhi. Le radio internazionali ci contattano: nell'ultimo mese di sciopero giornalisti croati, norvegesi, inglesi, americani sono stati qui».

La forza della nonviolenza
Tenzin Peldn, 20 anni, monaca da un anno, sulla testa rasata porta una fascia che chiede la libertà: «Questa campagna è un modo di gridare pacificamente contro tutti i maltrattamenti subiti dalla nostra popolazione. Il digiuno è uno degli strumenti più efficaci, e a noi non costa fatica, siamo qui insieme, e otteniamo più pubblicità e interesse che con cortei o lotte. A New York tre nostri connazionali hanno portato avanti sino al ricovero in ospedale uno sciopero della fame per attirare l'attenzione dell'Onu. La lotta armata non è nella nostra cultura, vogliamo solo la pace. Ma non dobbiamo permettere che ci sia silenzio intorno a chi toglie la libertà».
Coinvolgere la società civile e l'opinione pubblica internazionale sembra la specialità locale: in mezzo ai tappeti e alla mercanzia per turisti, i negozi espongono i poster con la sanguinosa storia dell'invasione cinese; gli alberghi organizzano corsi di cucina o di lingua tibetana gestiti da giovani che in Cina hanno subito umiliazioni e rifiuti di posti di lavoro; massaggi per hippies in vacanza si alternano a corsi di meditazione o conferenze di geopolitica, e non mancano le associazioni che reclutano in massa i giovani stranieri, attirati qui dal fascino dell'India buddista, per coinvolgerli in esperienze di volontariato.
Jampa Tsering, fondatore di Lha, organizzazione che coordina il volontariato locale, è orgoglioso dei 250 volontari da 27 paesi diversi che nel 2004 sono stati d'aiuto alla comunità come insegnanti d'inglese o di computer o come infermieri negli ambulatori locali:«C'è chi arriva già a conoscenza della causa tibetana, e viene coinvolto nelle campagne come quella per la liberazione di Tenzin Delek, chi si ferma pochi giorni e chi qualche mese». I progetti sono tanti e si rivolgono anche alla comunità indiana:«Nel buddismo Mahayana - sottolinea Jampa - una persona che soffre non è diversa da un'altra persona che soffre. Aiutare tutti migliorando il tasso di alfabetizzazione (che oggi qui è del 74%, tra i più alti dell'India del nord) e pubblicando bollettini di informazione è la nostra strada per affermare i diritti umani e lottare per un Tibet libero».

La "piccola Lhasa"
Il Dalai Lama arrivò in India nel 1959, a 24 anni, in fuga dal Tibet attraverso l'Himalaya, per dare risonanza internazionale alla battaglia pacifica per i diritti della sua gente. E l'anno dopo ricevette da Nehru, primo capo di governo dell'India senza inglesi, l'invito ad abitare in un villaggio dove porre anche la sede del governo tibetano in esilio. Ora i tibetani qui sono quasi 9.000 (circa 80.000 sono i tibetani in esilio nel mondo, tra India, Nepal, Buthan, Usa, Canada e Svizzera) e McLaud Ganj viene anche chiamato "piccola Lhasa": piccola per dimensioni, ma non per numero di iniziative.
Al momento ci sono infatti molte campagne in corso, come quella per il rilascio di Gedhun Choekyi Nyima, rapito nel '95 con i suoi genitori ad appena 6 anni (è il più giovane prigioniero politico della storia), poco dopo essere stato dichiarato undicesima reincarnazione del Panchen Lama, e tuttora tenuto dalle autorità cinesi in luogo segreto. Inoltre, sono in corso campagne di boicottaggio verso il made in China che, con prodotti a basso costo, sta penetrando con successo anche in India, e verso i giochi olimpici 2008 a Pechino, con la richiesta agli atleti di non partecipare in segno di protesta contro le continue violazioni dei diritti umani.
Xinhua, l'agenzia stampa ufficiale del governo cinese, ha annunciato di recente che la pena di morte di Tenzin Delek è stata commutata in carcere a vita. È una buona notizia, ma è di questi giorni l'intervista del Dalai Lama che ribadisce la sua volontà di non abbandonare la cosiddetta "via di mezzo", che esclude ormai l'indipendenza dalla Cina. Nel caso di un sofferto ritorno a Lhasa, dietro garanzia dell'autonomia religiosa e culturale, il governo tibetano sarebbe comunque costretto a sciogliersi.
A McLaud Ganj, intanto, la campagna in favore di Tenzin Delek va avanti, con l'obiettivo della scarcerazione, così come vanno avanti i lavori del governo in esilio e le altre campagne, organizzate da quei giovani che sognano un Tibet libero, senza neanche averlo visto.



Tibet, un po' di storia
Nel 1950, un anno dopo l'ascesa del comunismo in Cina, 40.000 soldati dell'esercito di liberazione popolare intrapresero la "liberazione pacifica" del Tibet, di fatto un'annessione. Malgrado gli sforzi del XIV Dalai Lama (Nobel per la pace nell'89) per una lotta pacifica di indipendenza, la rivolta esplose nel 1959, durante il capodanno, e per le strade di Lhasa furono ritrovati decine di migliaia di tibetani morti. Un mese dopo il Dalai Lama, travestito da soldato, fuggì a piedi in India attraverso le montagne, per continuare in esilio la lotta per il suo popolo. Il Tibet da allora ha subito la negazione dei diritti civili e religiosi del resto della Cina, e ha sofferto due atroci carestie ('61-'64 e '68-'73) in cui ha pesato il cambio di colture imposto dal governo cinese. Nel '65, all'interno della Repubblica Popolare Cinese, nacque la regione autonoma del Tibet, ma le Guardie Rosse continuarono a chiudere i monasteri, a decapitare le statue del Buddha e ad abbattere i simboli religiosi e culturali del paese. E quando nel '98 Tashi Tsering cercò di innalzare la bandiera tibetana al Potala Palace, tradizionalmente residenza invernale del Dalai Lama e cuore dell'amministrazione tibetana (nonché patrimonio dell'umanità per l'Unesco) fu torturato a morte. Oggi l'influenza della cultura buddista si estende per quasi 4 milioni di km², ben oltre i confini della regione autonoma del Tibet. Qui è in corso una massiccia immigrazione dell'etnia han, che dagli anni 80 riceve incentivi salariali per andare a "modernizzare" il territorio tibetano. La libertà di culto è ufficialmente concessa, ma ogni anno sono centinaia gli arresti, le sparizioni, gli stupri e le torture su monaci e civili tibetani.


Volontari per lo sviluppo - Maggio 2005

Nessun commento: